Del rosa, dell’azzurro e di altre sconcezze educative…
i quaderni operativi nell'infanzia: nuoce gravemente alla salute
Nel corredo didattico delle scuole dell’infanzia, c’è – ancora troppo spesso – il cosiddetto “quaderno operativo”: un libro su cui bambini e bambine colorano, incollano, fanno crocette… sintesi brutale, ma realistica: un insieme più o meno organico di schede operative.
Qui non intendo discutere sulla presunta utilità di questo strumento. Sta di fatto che pressoché tutte le case editrici scolastiche ne propongono vari, prova che quel mercato esiste.
Cercando di capirne il pensiero educativo, mi capita di guardarli, sia nelle scuole che sui siti delle case editrici.
L’elemento che caratterizza questi quaderni è la parte iconografica: si tratta di pagine piene di immagini su cui far lavorare (?) i bambini e le bambine.
A quest’età le immagini sono importanti: contribuiscono a creare idee, un repertorio comune iconografico che definisce – anche – una sorta di pensiero condiviso.
Tutto ciò viene proposto a scuola dalle insegnanti, ed ecco che quelle immagini si sostanziano di un’ulteriore forza.
Va detto che gran parte delle insegnanti scelgono questi libri guardando il tipo di lavoro proposto, o la qualità estetica del prodotto – senza considerare che quell’immagine veicola un contenuto. Purtroppo…
Sono rappresentazioni di bambini e di bambine, famiglie, contesti ludici, elementi estrapolati dalla quotidianità (naturali, sociali, culturali, religiosi...) che parlano al bambino e alla bambina disegnandone un mondo, o perlomeno una sua porzione.
In molti di questi quaderni vi sono alcuni fattori caratterizzanti che li accomunano. Direi pessimi fattori caratterizzanti, il più importante di tutti è la catastrofica quantità di stereotipi rappresentati. C’è solo l’imbarazzo da cui partire per un minimo tour di sconcezze educative.
La difesa della razza
In gran parte di questi libri sono rappresentati solo bianchi. Bambini neri, asiatici, latinos non esistono, così come i loro genitori.
Ed è doppiamente una pessima cosa.
Il nostro è un paese multiculturale, in cui convivono persone diverse – per origine, cultura, colore della pelle, tradizioni… Non è sempre una convivenza facile, ma proprio per questo abituare i bambini a non-vedere che siamo diversi è un errore educativo molto serio. E infatti con sfacciata facilità si propone che se non sei una bambina bianca, allora non sei italiano… (la domanda guida sotto la figura chiede “hai capito da dove viene la bambina?”)
Il secondo motivo è ancora più grave: questi quaderni partono spesso da un’immagine di sé da completare, ci sono schede di rappresentazioni familiari in cui identificarsi, o altre con mamme e papà: per le bambine bianche non ci sono problemi, il repertorio è completo. Ma l’azione cognitiva ed affettiva richiesta per gli alunni non-bianchi è drammaticamente impossibile, o per meglio dire defraudante del diritto di vedersi rappresentati per quello che si è, e non per altro.
Mancano poi del tutto immagini di famiglie multiculturali, che pure sono una realtà sempre più numerosa.
Forse possiamo definire questi libri razzisti. Forse…??
Quando si parla di rappresentazioni, niente è neutro: chi è dentro e chi è fuori, lo sceglie l’autore. I bambini e le bambine non-bianchi non sono assenti ingiustificati.
Oppure a volte ci sono: le due pagine dedicate alla pace portano sempre un girotondo multietnico di bambini. C’è chi osa di più, e azzarda un pensiero sugli squilibri delle risorse sul pianeta, che potremmo sintetizzare in un nuovissimo slogan “pensa ai bambini in Africa!”. Come se la povertà e l’ingiustizia sociale non fossero presenti ovunque nel mondo, e soprattutto continuando a perpetuare il più becero pregiudizio razzista.
Sessismo? Sì, grazie!
La scatola dei colori è ricca, ma per colorare bambini e bambine dei quaderni operativi ne possono bastare due: il rosa e l’azzurro.
L’esempio più eclatante è nei libri di una casa editrice dell’Italia centrale che riesce a mettere un capo di abbigliamento rosa o azzurro a tutte – TUTTE!!! – le raffigurazioni di persone di tutti – TUTTI!!! – i libri che vende. Una costanza che impressiona, e che definisce così una linea editoriale precisa. L’acquisto di questi prodotti supporta questo tipo di progetto. Che diventa un pensiero agito con il gruppo di bambini e bambine. perfino un libro pubblicato da una casa editrice internazionale non resiste al PINK…
Qualcuno potrebbe obbiettare che in fin dei conti, grembiulini rosa e azzurri ci sono, così come i giocattoli da maschi e da femmine: in realtà, ci sono giochi e giocattoli venduti per i maschi o per le femmine. È il mercato, bellezza!
Ma torniamo ai quaderni operativi, perché il rosa e l’azzurro non sono l’unico problema legato agli stereotipi di genere.
Quali sono le immagini proposte?
Se c’è un’auto, c’è il papà. O meglio, c’è un uomo. Anche se c’è un computer è molto più facile vedere un uomo – adulto, e con lui un bambino al fianco.
Se siamo in cucina, una donna sorridente accoglie la famiglia. E se c’è da aiutare la mamma, chi meglio di una figlia?
Sono grotteschi i tentativi di emanciparsi dallo stereotipo: in un quaderno, c’è una mamma al PC: ma – tranquilli! – ad imparare vicino a lei c’è un promettente maschietto bianco.
La perpetuazione degli stereotipi di genere viaggia anche attraverso le rappresentazioni che hanno a che fare con l’etica e la morale (azioni buone e cattive): un bambino deve fare attenzione a toccare il ferro da stiro, perché si potrebbe scottare – ma la savia mammina invece lo può maneggiare con competenza! E quindi, maschi a distanza dal pericolosissimo oggetto. (È ovvio che lo sia, ma lo è per maschi e per femmine ed è deprimente vedere che l’immagine rassicurante è quella della mamma che stira). Ma - sempre nel campo della collaborazione a casa - il maschio può crescere tranquillo, che qualcuno sta già imparando a stirargli le camicie…
Le feste comandate
L’apoteosi dello stereotipo si tocca in tre ricorrenze obbligate: Natale, festa della mamma e festa del papà.
È sparito il San Giuseppe uomo ben più adulto della sua giovane sposa: al suo posto c’è un giovanotto barbuto e prestante – e chi se ne frega delle scritture e delle sacre rappresentazioni degli ultimi secoli. Maria dal canto suo è ben lungi dal sembrare una madre: al massimo una sorella. E – non serve dirlo – tutti bianchi e possibilmente qualcuno con gli occhi azzurri.
Ma è nei famigerati lavoretti per mamma e papà che si annida una sorta di muffa educativa che dovrebbe tenere le insegnanti a distanza di sicurezza: siamo ancora fermi alle cravatte per i papà e agli specchi (casualmente rosa) per le mamme.
È veramente questa l’immagine di uomo, di donna, di relazioni familiari e sociali che vogliamo per le nostre bambine e i nostri bambini?
Come mai continuiamo a sorbire questa cultura – razzista, sessista, reazionaria?
Credo che in molte scuole ci sia una duplice grave sottovalutazione; un primo livello è quello educativo, dove non si considerano con la dovuta attenzione gli effetti che questo armamentario iconografico provoca nei bambini e nelle bambine, iniziandoli fin da piccolissimi a ruoli legati al genere, alla razza, allo status sociale. È una forma di educazione di cui le insegnanti forse non sono consapevoli (e non è un’attenuante) e su cui i genitori non si pronunciano. Ma se sappiamo essere cauti oltremisura per le temperature, il cibo, il minimo graffio, sarebbe finalmente il tempo di preoccuparci anche di quello che viene artatamente infilato nei pensieri di bambine e bambini.
Il secondo livello è quello commerciale: continuare ad acquistare questi prodotti significa dare il proprio supporto a quegli editori ed autori che stanno svolgendo un pessimo servizio alla scuola e all’educazione. Un’idea tanto becera della nostra scuola dell’infanzia andrebbe stroncata, rifiutando di spendere così male i soldi. E se le insegnanti lasciano correre, i genitori dovrebbero alzare la voce e farsi sentire.
Perché l’educazione di cui abbiamo un disperato bisogno ”non è di formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi, ma di restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene.”
Era il 1973, e Elena Giannini Bellotti pubblicava “Dalla parte delle bambine”.
Sono passati solo 48 anni.